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Norberto Bobbio: egualitarismo e differenzialismo*
di Marco Baldino

16 settembre 2016


Stato

Critica dell’idea di estinzione (dello stato). Due dottrine: marxismo e liberalismo classico. Per entrambe vale l’equazione: stato = ordine. Diverso è però il modo di intendere l’ordine. Per il marxismo ordine è sinonimo di gerarchia, di costrizione; per il liberalismo l’ordine è invece sinonimo di coordinamento, di organizzazione. [1] Per il marxismo lo Stato si estingue in quanto costrizione; per il liberalismo lo Stato si estingue in quanto impedimento. [2] Per il marxismo all’estinzione dello Stato subentra la Società organica (ciascuno fa quello che deve fare senza costrizione), per il liberalismo all’estinzione dello Stato subentra la Società atomistica (ciascuno esercita i propri diritti). Alla base della società organica vi è l’universalismo (la società è il tutto, l’individuo la parte, il prodotto della società); alla base della società atomistica vi è l’individualismo (l’individuo è il tutto che produce, con le sue opere, la società).

Secondo Bobbio entrambe le dottrine sbagliano. In ogni caso quella più vicina alla realizzazione del proprio obiettivo è la dottrina liberale. Attraverso l’universalismo organico sembra assai difficile realizzare l’estinzione dello Stato. Universalismo e individualismo sono entrambi infruttuose ipostatizzazioni. Ciò che bisogna fare, secondo Bobbio, è tentare di mettere insieme il massimo di non-costrizione con il massimo di non-impedimento, ovvero: la minima costrizione e la minima organizzazione [liberalsocialismo] (pp. 245-46).


Uguaglianza

Con il problema dell’eguaglianza si entra nel vivo del pensiero di Bobbio. Due dottrine: egualitarismo (Rousseau, Buonarroti, Marx), liberalismo (Nietzsche). Il fatto che Bobbio usi Nietzsche per esemplificare il liberalismo è molto interessante, sia per un’interpretazione di Nietzsche in senso liberale, o, meglio ancora, anarco-liberale, sia per un’interpretazione delle posizioni liberalsocialiste a partire dall’individuazione di Nietzsche come il loro principio opposto. [3] L’egualitarismo è la dottrina secondo cui i bisogni sono dell’ordine della distribuzione mentre le capacità sono dell’ordine del prelievo; la diversità tra gli individui si ha negli oneri (chi ha più capacità ha più oneri), mentre assolutamente egualitari devono essere educazione e nutrimento e, più in generale, i punti di arrivo. Il liberalismo è invece la dottrina secondo cui le capacità creano differenza (diversità nelle fortune). All’egualitarismo si collega una concezione solidaristica, comunitaria e comunistica della società. Al liberalismo si collega invece una concezione individualistica e pluralistica. Per il liberalismo basta che siano comuni le regole del gioco. Per l’egualitarismo bisogna invece evitare che vi siano vincitori e vinti. Per l’egualitarismo la maggior parte delle disuguaglianze sono di origine sociale, per il liberalismo sono invece disuguaglianze naturali. Per l’egualitarismo società buona è quella che elimina il privilegio, per il liberalismo società buona è quelle che riesce ad estendere di volta in volta questo o quel privilegio. Nel primo caso si ha una comunità di livellamento, nel secondo una comunità di differenza. Il campione dell’egualitarismo è Rousseau (la natura ha fatto gli uomini uguali, la società li ha resi diseguali), il campione dell’individualismo [liberale?] è Nietzsche (gli uomini sono per natura diseguali e soltanto la società, con la sua morale del gregge, con la sua religione della compassione e della rassegnazione li ha resi uguali). Nell’egualitarismo l’uomo è considerato a partire da ciò che accomuna, nel liberalismo l’uomo è considerato a partire da ciò che distingue. Comunismo e comunitarismo sono forme di egualitarismo. Alla base dell’egualitarismo, e quindi del comunismo e del comunitarismo, c’è l’idea della nazione come comunità organica.


Giustizia

Due massime:

1. Suum cuique tribuere (si dia a ciascuno il suo)
2. Suum agere (faccia ciascuno ciò che gli spetta)


OSSERVAZIONI:

1. ciò che è mio non mi deve esser dato, in quanto lo possiedo già, è la mia proprietà. L’espressione Suum cuique tribuere presuppone un’entità dispensatrice, il che non può essere, perché, se così fosse, “ciò che è mio” non sarebbe mia “proprietà”, ma qualcosa che mi viene concesso, e quindi di cui sono solo il manutengolo, mentre la mia “proprietà” mi appartiene in modo sovrano, a partire dalla constatazione che Io sono la mia proprietà, ossia vi è almeno un che, che mi appartiene in modo sovrano.

2. Ciò che mi spetta, al contrario, mi deve esser dato, secondo giustizia. Secondo Bobbio, la giustizia è un fine desiderabile da parte di chi ricerca il buon governo o la buona società. Non c’è giustizia, e quindi non c’è buon governo, e nemmeno buona società, se ciò che mi spetta non mi viene dato. Ma ciò che mi spetta è tanto il salario quanto la punizione, tanto la restituzione di un prestito quanto una buona istruzione, ecc.. Quindi non c’è buon governo e buona società laddove i ladri, i corrotti, i violatori del domicilio, gli assassini se ne vanno liberi, perché a questi non viene dato ciò che loro spetta, così come non c’è buon governo e buona società laddove il creditore rimane disonorato, il lavoratore senza lavoro, il cittadino senza dimora, senza modo di coprirsi, di riscaldarsi, di nutrirsi, di presentarsi dinanzi agli altri in modo onorevole, ecc..

3. Il punto sta nel dirimere la questione della libertà. La libertà è la mia proprietà o è ciò che mi spetta? Attiene alla giustizia che mi venga riconosciuta la libertà o in quanto Io sono originariamente la mia proprietà, la libertà è anch’essa mia, sovranamente? Infatti, come potrei riconoscermi sovranamente “mio” se non fossi anche sovranamente libero? Sarebbe sufficiente che Io dipendessi per qualcosa da qualcuno o da qualcos’altro perché cessassi di essere sovranamente mio. E questo è esattamente ciò che capita, perché nessuno è così sovranamente indipendente. Sicché, se la libertà dev’essermi comminata da altri, Io stesso non mi appartengo in modo così esclusivo. Bobbio dice che la libertà è il fine desiderabile da parte di chi si pone dal punto di vista dell’individuo, cioè il liberalismo.

4. Ora, sia il liberalismo sia l’egualitarismo hanno a che fare con la giustizia, la differenza consiste nel fatto che per l’egualitarismo la giustizia si combina con l’uguaglianza, mentre per il liberalismo la giustizia si combina essenzialmente con la libertà. La dottrina di Bobbio scaturisce da questo chiasmo: libertà ed eguaglianza sono complementari; di qui l’assunto liberalsocialista ch’egli pone alla base della propria riflessione. La libertà è una nozione pre-giuridica. La giuridizione della libertà ne fa un ‘diritto’, quello che si chiama “una libertà garantita”. Ma la libertà ‘garantita’ da un potere, legittimo o illegittimo, non è propriamente una ‘libertà’, proprio perché la libertà è uno stato pre-giuridico. Dal punto di vista del diritto una libertà è sempre un ‘arbitrio’. La giuridizione di una società è ciò che trasforma l’arbitrio in diritto. In altre parole, il buon governo e la buona società nascono dalla eliminazione della libertà come proprietà originaria dell’Io e quindi dell’Io stesso, trasformando la prima in diritto e il secondo in cittadino. La libertà assoluta, per dirla con Hegel, è il terrore.

5. De Sade, nel 1795, salvo solo grazie al disordine amministrativo del carcere rivoluzionario, in un momento di reazione al rigorismo giacobino, in cui i freni si erano allentati, in cui nuovi ricchi si affacciavano al proscenio avidi di piaceri, mentre si diffondeva un clima di scandali, di affarismo, di speculazione, lui, in preda alla disperazione economica, predica le passioni come unico mezzo per realizzare la natura umana e immagina la libertà assoluta come unico criterio: bisogna obbedire soltanto alle passioni, solo esse conducono alla felicità. Unici freni i nostri desideri, uniche leggi i nostri capricci… Bisogna spingersi agli estremi. [4] Del resto, solo spingendosi all’estremo la libertà è svincolata dai lacci imposti da religione e leggi e una tale libertà non può essere che libertà nelle passioni, nelle brame. Ora, nemmeno De Sade giunge a tanto, se non nella fantasia romanzesca delle grandi opere, Justine, Juliette, Le 120 giornate. Nel frammento «Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani», De Sade tempera libertà ed uguaglianza: i doveri dell’uomo si articolano in “doveri che ogni uomo ha con se stesso” e in “doveri che egli deve osservare con i suoi fratelli”. [5]

6. Ma anche l’eticità assoluta è il terrore. E questo è il caso dell’egualitarismo radicale di Babeuf. L’uguaglianza è concepita da Babeuf come “diritto primitivo”. Tuttavia il buon governo e la buona società devono poi assicurarla per mezzo delle Istituzioni — concezione giuridica che confligge con quella naturalistica del diritto “primitivo”. Che significa infatti “primitivo”? Significa promulgato dalla natura, si tratta cioè di qualcosa di pre-giuridico. Per Babuef a essere pre-giuridico è l’uguaglianza, non la libertà. Sicché La felicità del popolo si ottiene — secondo Babeuf — limitando “per legge” la “proprietà” o, che è lo stesso, la “libertà” di cui l’individuo anarchico si sente invece espropriato come del proprio Io. Per Babeuf tutto ciò che un membro del corpo sociale possiede al di sopra della sufficienza è il risultato di un furto ai danni degli altri. Bisogna che le Istituzioni tolgano ad ogni individuo la speranza stessa di diventare più ricco, più potente, più ragguardevole, anche «per i suoi lumi», cioè in virtù delle sue doti, della sua intelligenza, della sua stessa applicazione. Per Babeuf il buon governo è quello che reprime con il terrore e con l’educazione ogni desiderio di violare la legge dell’uguaglianza.


* N. Bobbio, Teoria generale della politica, Einaudi, Torino 1999.

[1] In verità lo Stato è tanto costrizione quanto organizzazione, anzi, nella società industriale avanzata, come hanno mostrato Marcuse e Foucault, la costrizione passa completamente attraverso l’organizzazione e l’amministrazione.
[2] In verità il liberalismo persegue piuttosto una limitazione dello Stato o una sua “minimizzazione”, non una sua eliminazione. Si vedano a questo proposito Tocqueville e, nel ’900, i teorici dello “stato-minimo”.
[3] È giusto ricordare che la tesi secondo cui Nietzsche sarebbe alla base di alcuni importanti sviluppi di alcune dottrine liberali circolanti al nostro tempo è fatta propria, oltre che da Bobbio, anche da Leo Strauss e dalla sua scuola. Ricordo qui Allan Bloom e Francis Fukuyama. Un’opinione non dissimile è espressa anche da Richard Rorty.
[4] Cfr. D.A.F de Sade, “Ai libertini” in La filosofia nel boudoir, a cura di C. Rendina, Newton Compton, Roma 1974, p. 36.
[5] Ivi, p. 141.



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